La gestualità italiana è un linguaggio?

La lingua italiana non è fatta soltanto di parole ma anche di gesti. L’ha capito già sessant’anni fa Bruno Munari, raccogliendoli in un curioso supplemento al dizionario italiano. E oggi i gesti degli italiani sono protagonisti di studi, articoli, video e tutorial. Una caratteristica tricolore che tanto entusiasma quanto mette in difficoltà i non italiani. Ma anche noi faremmo bene a stare attenti: ad esempio evitando di fare il simbolo dell’OK a un russo se non vogliamo che ci risponda “Ti spiezzo in due”.
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Un gesto vale più di mille parole”. Quanto è vera questa frase? Lo è ancora di più per noi italiani, abituati ad accompagnare il nostro parlare con innumerevoli movimenti delle mani e del viso. La gestualità italiana è nota, tanto da essere al centro di memorabili scene cinematografiche (come non ricordare l’iconico “gesto dell’ombrello” di Alberto Sordi ne “I vitelloni”, la mimica comica di Totò e Peppino o le “corna” di Vittorio Gassman ne “Il sorpasso”?).
Ma i gesti degli italiani sono anche protagonisti di un originale “Supplemento al dizionario italiano” curato da Bruno Munari, in cui mi sono imbattuta alcuni giorni fa.

Il “dizionario” della gestualità italiana

Il “Supplemento al dizionario italiano” è un esile ma significativo libricino di poco più di 100 pagine in cui Munari ha raccolto cinquanta tra i più rappresentativi gesti italiani, illustrati da fotografie in bianco e nero e descritti da un breve testo tradotto anche in inglese, francese e tedesco. L’intento dell’artista e designer milanese era quello di “esaminare i vari modi di esprimersi senza parlare, non solo con le mani, ma con l’espressione del viso e con atteggiamenti dell’intera persona […] e di raccoglierne il maggior numero per avere una documentazione il più possibile esatta, ad uso degli stranieri che visitano l’Italia o come supplemento al dizionario italiano”.
Sono passati 60 anni da quando Munari decise di dar vita a questa bizzarra raccolta, celebrata da una mostra alla Libreria Corraini 121+ a Milano e di recente divenuta popolare anche sui social grazie a un video dell’attrice Isabella Rossellini.

I gesti delle mani sono una forma di comunicazione ma solo se il mittente e il destinatario  condividono il “codice” e sono in grado di interpretare il messaggio. Se questo, invece, non avviene possono nascere fraintendimenti molto imbarazzanti…

Quanti sono i gesti italiani?

Quali e quanti sono i gesti italiani? A questa domanda si propone di dare una risposta lo studio sui differenti tipi di gesti e il libro “Mani che parlano” di Isabella Poggi. La psicologa e docente ne individua circa 250 e propone una loro suddivisione tra:
 
  • Gesti mimici: rappresentano la parola che si intende dire
  • Gesti pantomimici: assomigliano al significato
  • Gesti pittografici: riproducono o descrivono la forma e/o le dimensioni di ciò o colui a cui si riferiscono
  • Gesti deittici: collocano oggetti e persone nello spazio
  • Gesti puntualizzatori: precisano quanto detto a parole
  • Gesti batonici: sono dei rapidi movimenti compiuti con la mano o con l’avambraccio
  • Gesti illustratori: illustrano quello che si sta dicendo a parole
  • Gesti spaziografici: indicano il luogo in cui si trova ciò o colui di cui si sta parlando
  • Gesti simbolici: hanno un significato preciso condiviso da una comunità 
 
Tutti questi gesti appartengono alla categoria dei cosiddetti “gesti coverbali” perché vengono compiuti mentre si parla e assolvono a funzioni diverse: 
 
• ripetitiva
• aggiuntiva
• sostitutiva
• commentativa
• contraddittoria

La gestualità italiana è una forma di comunicazione

Tra i gesti coverbali, quelli simbolici sono particolarmente importanti perché sono gesti comunicativi, che veicolano cioè un certo significato. In questo senso, quindi la gestualità italiana può essere considerata una lingua? Secondo Poggi no, perché “una lingua è un sistema di comunicazione dotato di un lessico e di una sintassi”. I gesti simbolici hanno un loro lessico ma non hanno una sintassi. Sono però una forma di comunicazione tra un mittente e un destinatario che condividono e conoscono sia il gesto (il significante) che il suo significato.

Le origini della gestualità italiana

Alle origini della gestualità italiana ci sarebbe proprio la necessità di comunicare “in codice” e ci sono diverse ipotesi sull’origine di questa peculiarità tricolore. Secondo lo psicologo inglese da Adam Kendon, noto per i suoi studi sui gesti, in città sovrappopolate come Napoli la gestualità era un modo per attirare l’attenzione. In base a un’altra ipotesi il linguaggio delle mani si sarebbe diffuso tra gli italiani tra il XIV e il XIX secolo durante i secoli della dominazione austriaca, francese e spagnola come forma alternativa di comunicazione, per potersi scambiare informazioni senza essere compresi. La condivisione del “codice” è infatti indispensabile perché ci sia comunicazione, cioè la trasmissione del messaggio.

Il tipico gesto italiano della “mano a cuoppo”

Foto: Supplemento al dizionario italiano

Esempio di gestualità italiana: la mano a cuoppo per dire "Che vuoi?"

Guida alla comprensione dei gesti italiani

Questo spiegherebbe, quindi, perché per i non italiani non sia facile comprendere alcuni nostri gesti caratteristici e sia necessario ricorrere ad apposite “guide”. Il New York Times, ad esempio, ha dedicato alla gestualità italiana un video e un articolo corredato da foto animate per spiegare i diversi significati dei movimenti che compiamo con le mani. E ha fatto lo stesso anche la CNN e il Washington Post. Ma oltre all’inglese, online ci sono contenuti che spiegano il significato dei gesti italiani con articoli, immagini, video in tantissime altre lingue: russo, cinese, francese, spagnolo, tedesco, greco…

Paese che vai, gesto che trovi

E così come accade per il significato delle emoji, anche per i gesti sono importanti le coordinate geografiche. Questa forma di comunicazione non è, infatti, universale e uno stesso gesto può voler dire cose diverse da un Paese all’altro. Il fatto di additare una persona con l’indice, ad esempio, in Cina e in Giappone è un grande offesa. Alzare il pollice per dire “OK” è un gesto volgare in Russia e in alcuni Paesi dell’Estremo Oriente. Fare le corna nei Paesi buddisti equivale al Karana Mudra, un gesto di purificazione interiore. E le differenze ci sono anche all’interno dello stesso Paese tra gruppi etnici differenti: in Nigeria, ad esempio, soltanto il gruppo etno-linguistico Yoruba fa l’occhiolino per indicare ai propri figli di lasciare la stanza in cui si trovano all’arrivo degli ospiti. 
E il legame tra emoji e gesti è ancora più stretto da quando il Consorzio Unicode ha approvato l’ingresso di una emoji tutta italiana, anzi napoletana, tra quelle disponibili nelle app di messaggistica. Che non poteva che essere la “mano a cuoppo” per dire “Ma tu, che vuò?”.

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