Per dare un nome alle cose, non affidarti a un sondaggio

Per dare un nome alle cose, il processo di naming è un delicato equilibrio tra fantasia e razionalità, tra cuore e mente. Bisogna far volare la propria immaginazione e creatività ma poi occorre riportarla a terra, avendo il coraggio di dire dei no. Questa è la storia di una nave rompighiaccio, di un sondaggio online per darle un nome e di un famoso wrestler dai lunghi baffi dorati.
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Nel 2016, il NERC, l’ente britannico per la ricerca sull’ambiente naturale, lanciò un sondaggio online per dare un nome a una nuova nave destinata alle esplorazioni scientifiche in Antartide. Il popolo del web rispose con entusiasmo e, nel giro di un mese, arrivarono al NERC più di 7mila proposte. Il nome più votato fu “Boaty McBoatface”, in italiano “Barcotta Facciadibarca”. Simpatico, divertente, persino tenero ma di sicuro poco adatto a una rompighiaccio costata 200 milioni di sterline, lunga più di 100 metri e capace di trasportare due elicotteri. Così, il NERC non prese in considerazione il nome vincitore (con oltre 120mila voti) e chiamò la nuova nave “Sir David Attenborough” in onore del famoso naturalista e divulgatore inglese.

Che cosa insegna questa storia? Che dare un nome alle cose non è semplice come si potrebbe pensare. Non basta che il nome sia originale: deve essere adatto a ciò che indica, ne deve esprimere l’essenza, il carattere, la personalità.

Dare un nome a un brand, una questione delicata

Per trovare un nome a un brand, a un prodotto o a un servizio, la faccenda è ancora più delicata: il nome giusto può decretarne il successo commerciale oppure il totale fallimento. Ne sa qualcosa l’azienda di cosmetici Estée Lauder che alcuni anni fa lanciò un fondotinta chiamato “Country Mist” (nebbiolina di campagna) che in Germania fu un clamoroso insuccesso. Come mai? Il nome in tedesco voleva dire “letame di campagna”… 

Nell’ideazione di un nome la creatività è di certo importante ma da sola non basta. Prima bisogna fare un’attenta analisi per capire che “strada” deve imboccare la fantasia, per uscire dalla “nebbiolina” senza finire in un letamaio!

Il processo di naming: in equilibrio tra fantasia e razionalità

Il naming, cioè il processo che porta all’ideazione di un nome, è un delicato equilibrio di fantasia e razionalità, di cuore e di mente, che si svolge in tre diverse fasi:

  • La prima è la fase di analisi
  • La seconda è la fase creativa
  • La terza è la fase di scelta e verifica

In ciascuna di queste fasi prevalgono, a turno, la razionalità (nell’analisi), la fantasia (nella fase creativa) e di nuovo la razionalità (nella fase di scelta).  

La fase di analisi

Nel processo di naming, la fase di analisi serve a mettere a fuoco dei dettagli fondamentali, come:

  • In cosa consiste il prodotto, servizio o brand che ha bisogno di un nome?
  • A chi si rivolge?
  • Che concetti vuole comunicare?
  • Che emozioni vuole esprimere?

In questo primo step, la fantasia non serve. Questo è il terreno della razionalità, in cui si mettono dei punti fermi, in cui si traccia il sentiero su cui si muoverà la creatività.

La fase creativa

Dopo l’analisi c’è, infatti, la fase di inventiva vera e propria. Si parte dai concetti chiave del brief e si declinano in diversi campi semantici e in liste infinite di parole. Si procede per associazioni di idee, tra somiglianza e contrasto, sinonimi e contrari… Si gioca con le parole e la musicalità delle sillabe, tra allitterazioni, assonanze e onomatopee… In questa fase non si scarta nulla, tutte le idee sono potenzialmente valide.

La fase di scelta e verifica

È nella fase successiva, quella di scelta e verifica, che si fa di nuovo appello alla razionalità per restringere il campo (e, in alcuni casi, dire addio a quel nome che è già entrato nel cuore):

  • No ai nomi già usati e registrati
  • No ai nomi che possono risultare ambigui, volgari o inappropriati anche in lingue diverse dalla propria (l’errore compiuto da chi ha ideato il nome del fondotinta di Estée Lauder)
  • No ai nomi non adatti al target e al posizionamento del brand, servizio o prodotto
  • Sì ai nomi originali, che non sono la copia di qualcosa già utilizzato
  • Sì ai nomi facili da pronunciare e ricordare
  • Sì ai nomi che descrivono l’essenza e la filosofia del brand, prodotto e servizio

Alla fine Boaty McBoatface ha avuto la sua rivincita diventando il nome di questo simpatico drone sottomarino giallo

Nel creare un nome anche l’aspetto conta

Ecco perché, insomma, per quanto creativo e originale, “Boaty McBoatface” non avrebbe comunque funzionato. Così come altri nomi proposti dagli utenti del web che avevano partecipato al sondaggio (tra i più divertenti “It’s Bloody Cold Here” cioè “Fa dannatamente freddo qui” ).

Dopo la bocciatura il nome “Boaty McBoatface” si è ripreso, però, la sua rivincita: nel 2017 fu chiamato, così, un drone sottomarino senza equipaggio utilizzato per esplorare i fondali oceanici dell’Antartide. Un mezzo che già nel suo aspetto tondeggiante e nel suo colore giallo acceso, si prestava a portare con più disinvoltura un nome simile. 

Che cosa ne è stato, invece, della rompighiaccio Sir David Attenborough? La questione del suo nome sembra non avere fine. Quando sono state diffuse alcune immagini della nave, qualcuno ha notato una certa somiglianza con il famoso wrestler Hulk Hogan. E il popolo del web ha fatto partire un nuovo tam-tam per cambiarle nome!

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